La costruzione che diverrà la Casa Urban era ed è immediatamente retrostante la quinta meridionale che si affacciava sull’antica Contrada Granda, oggi Via Mensa, concepita da Amedeo di Castellamonte quale asse viario prospetticamente incentrato sulla Reggia. Alla stregua dei sobri edifici caratterizzati da uniformità formale che si affacciano sulla strada, il nostro manufatto ha un’altezza pari a circa dodici metri e presenta, quale unica leziosità, uno snello cornicione a guscio diritto delimitato, all’intersezione con le facciate, da una leggera modanatura. L’organismo edilizio è quasi incastrato nella quinta che si sviluppa lungo lo spazio pubblico ed ha un accesso recondito, in corrispondenza del suo ideale frontespizio settentrionale, dal porticato dell’esedra che cinge la Piazza della SS. Annunziata, quest’ultima, ideata a quel tempo come ‘sospensione’ del lungo rettifilo e, contestualmente, quale fulcro urbano ‘laico’ della nuova città, ancor oggi continua ad assolvere ai compiti originari. Quel progetto di riconferimento della forma urbana voluto da Carlo Emanuele II, sotto gli aspetti formali e celebrativi, celava precisi intenti di rivitalizzazione dell’economia piemontese; l’insediamento delle attività produttive connesse con lavorazione della seta costituiva l’asse portante di quel progetto. Centri manifatturieri, con annesse botteghe per la commercializzazione del prodotto, furono insediati a ridosso della Contrada Granda: questi sfruttando la forza motrice fornita dall’acqua della Ceronda, o dal sistema idrico derivato dalla Bealera Grossa, praticavano la filatura con metodi ‘industriali’; tale opportunità era stata offerta dalla messa a punto in quel periodo, a Bologna, del cosiddetto ‘mulino da seta’, dispositivo che azionava mediante ruote idrauliche i macchinari che torcevano il filo.
La nostra fabbrica sorse, probabilmente sin dall’origine, come sede di uno di questi filatoi - a testimoniarlo sono, oltre ai rinvenimenti del livello interrato, la particolare morfologia dell’immobile, l’ampiezza della manica edilizia, l’ipotetica distribuzione e tipologia degli orizzontamenti scomparsi e le caratteristiche delle originarie finestrature – ed ospitò un mulino alla bolognese.
Mulino da seta seicentesco
Più approfondite indagini d’archivio e prospezioni in sito potranno fornire maggiori conoscenze sulle origini, sulle trasformazioni e sugli usi dell’edificio; le attuali informazioni lo individuano come filatoio fino alla fine dell’Ottocento e come cinema-teatro dagli inizi sino agli anni settanta del Novecento. Sono state infatti le opere realizzate durante il radicale intervento di cambio di destinazione d’uso che, oltre ad eliminare gli originali orizzontamenti, probabilmente lignei, hanno ‘foderato’ integralmente l’interno occultando le superfici dei paramenti murari. Delle facciate esterne, nonostante le aggressioni operate nel tempo dalle costruzioni disorganiche che le assediano, si possono apprezzare le apparecchiature originarie con le partiture verticali delle paraste, le ampie arcate a tutto sesto tamponate del piano terreno e le soprastanti coppie di porte-finestra, anch’esse parzialmente occluse, a costituire il disegno degli ordini superiori.
Con la proposta progettuale le indicazioni riportate nel DPP vengono sostanzialmente confermate, nella verificata qualità degli spazi disponibili trovano ospitalità, in quanto compatibili, tutte le nuove funzioni in quel documento individuate. È prevedibile che il recupero sarà in larga misura caratterizzato da complessi processi di restauro e da sviluppi progettuali coerenti con la particolarità dell’oggetto, fragile per la modesta qualità formale, intenso per la consolidata appartenenza al luogo. Proviamo ad immaginare quello che sarà il futuro percorso. Dall’elegante piazza dell’Annunziata, sotto le volte del portico, si entra nella Casa Urban, un centro plurifunzionale, in grado di offrire spazi museali e per convegni, mostre, uffici per la gestione delle problematiche occupazionali e del territorio ed anche ambienti per feste e cerimonie. Una struttura aperta verso l’esterno, viva e poliedrica. L’accesso avviene dall’ampia arcata nell’angolo del portico, poche modifiche dell’esistente facilitano il rapporto tra esterno ed interno. Una leggera piattaforma mobile è presente lateralmente alla scala per agevolare l’accesso ai disabili. L’atrio immediatamente successivo è uno spazio aperto fino al tetto, in parte definito da pareti vetrate, traslucide, attraverso le quali ‘indovinare’ le attività retrostanti; a margine è collocato uno spazio di informazione e controllo. Alla destra dell’atrio si apre il luogo dei transiti: scale, ascensore, corridoi e passerelle sono distribuiti entro e in fregio al ‘portico’, a tutt’altezza, posto a ridosso del fronte occidentale le cui aperture sono state ripristinate. Larga parte del piano terreno è occupata dall’ampio ed arioso salone per conferenze e cerimonie (un allestimento flessibile e versatile può consentire lo svolgimento delle diverse funzioni), aperto sul corridoio e verso il cortile, che si spinge sino ai finestroni del frontespizio meridionale; locali di servizio e per la caffetteria completano lo spazio. Il livello sotterraneo si raggiunge percorrendo una scala rettilinea di nuovo inserimento oppure con l’ascensore parzialmente inserito nel preesistente vano scala. A questo livello è collocato lo spazio per le mostre permanenti del museo civico e sono poste in evidenza le residue strutture protoindustriali del mulino da seta. Locali tecnici e di servizio saturano lo spazio disponibile, un disimpegno immette verso l’esterno nella ricostruita scala con funzioni di sicurezza, che, inoltre, costituisce accesso dal cortile alla centrale tecnologica. Risalendo a ritroso al piano terreno troviamo il vano scala principale che, unitamente all’ascensore, conduce alle balconate dei rimanenti livelli. Queste sono l’elemento caratterizzante dello spazio di connessione: percorrendole è possibile cogliere tutta la dimensione dell’antico contenitore industriale e, nel contempo, fruire attraverso le ripristinate aperture delle prospettive esterne. Di fronte alle passerelle, alle spalle di divisori vetrati, sono quindi collocati: al primo piano la sala per le esposizioni temporanee, la libreria e l’annesso ‘infoturismo’; al secondo piano l’area logistica dell’Urban Center con spazi direzionali e di riunione riservabili e con la restante superficie organizzabile con tipologia ‘open space’. Il livello più alto è aperto verso la struttura in vista del tetto, fatte salve parziali plafonature atte a rendere gli spazi più raccolti. Ognuno dei due livelli è dotato di un nucleo completo di servizi igienici. Una scala elicoidale (volontaria citazione della ruota e dell’albero del mulino da seta), nella parte opposta all’ingresso, facilita i percorsi interni e risponde ad esigenze di sicurezza.
Vetrate traslucide separano i percorsi esterni dagli spazi organizzati e, complessivamente, costituiscono un involucro che, complici le numerose aperture ripristinate nelle facciate perimetrali, consente alla luce di penetrare da tutti i lati e di attraversare gli spazi. Il sistema distributivo interno, molto aperto, ma concepito in modo che le parti possano avere una loro autonomia, permette, da ogni punto, la lettura del processo storico della mutazione e lascia ad ogni parte il privilegio di affermare la propria differenza: una Casa Urban come ‘casa della trasparenza e dell’identità’.
resa grafica salone basso
resa grafica salone superiore